Il diritto all’oblio nasce storicamente in rapporto all’esercizio della cronaca giornalistica.
Esso può essere definito come il diritto del singolo ad essere dimenticato o, ancora meglio, come il diritto del singolo a non venire ricordato più per fatti o per episodi che lo riguardano e che in passato sono stati oggetto di cronaca.
L’attuale Codice della Privacy (D.lgs. 196/2003) prevede all’art. 11 che il trattamento dei dati personali è illegittimo qualora tali dati siano conservati in un modo tale da consentire l’identificazione dell’interessato per un tempo superiore a quello necessario agli scopi per i quali gli stessi sono stati raccolti e trattati.
Come si può ben notare, il diritto all’oblio nasce allorquando cessa il diritto di cronaca. Tale “nuovo diritto“, in pratica, è frutto di un delicato bilanciamento di interessi costituzionalmente riconosciuti e tutelati: quello alla cronaca e quello alla riservatezza.
Il suo presupposto è che un fatto di cronaca non sia più oggetto di interesse pubblico: interesse pubblico che deve, infatti, essere necessariamente racchiuso in un ben definito spazio temporale necessario ad informare la collettività. È chiaro che, trascorso tale periodo di tempo, dai contorni che non definibili a priori ma che rimangono allo stesso tempo elastici, l’interesse pubblico cessa, fino a scomparire: è in quel momento che prende vita il diritto all’oblio.
In base ai principi sopra menzionati, ad esempio, non è legittimo diffondere notizie riguardanti condanne subite o altri dati sensibili di analogo spessore, con l’unica eccezione che si tratti di particolari casi di cronaca: tuttavia, anche in queste ultime ipotesi, la pubblicità che viene data al fatto deve essere proporzionata all’importanza dell’evento ed al tempo trascorso dall’accaduto.
Il nuovo Regolamento europeo (Reg. Ue 2016/679), che entrerà a pieno regime solo a maggio 2018, ha codificato gran parte dei principi relativi al diritto all’oblio enunciati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014 e resi nella causa C-131/12.
Il diritto all’oblio è contenuto nell‘articolo 17 del Regolamento ed è qualificato come il diritto che l’interessato ha di ottenere dal titolare del trattamento dei dati la cancellazione degli stessi senza ingiustificato ritardo.
Il titolare del trattamento ha l’obbligo, infatti, di cancellare i dati personali dell’interessato qualora sussistano i seguenti motivi:
- i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati;
- l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento e non sussiste altro legittimo motivo per trattare i suoi dati;
- l’interessato si oppone al trattamento dei dati personali e non sussiste alcun interesse superiore per procedere con il trattamento;
- i dati sono stati trattati in modo illegittimo;
- i dati devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione Europea o degli Stati membri cui è soggetto il responsabile del trattamento;
- i dati sono stati raccolti relativamente alla offerta di servizi della società dell’informazione.
Il titolare del trattamento, inoltre, qualora abbia reso pubblici dei dati personali ed è tenuto a cancellarli, ha l’obbligo, tenuto conto anche delle tecnologie disponibili, di prendere le opportune misure al fine di informare i responsabili del trattamento che stanno trattando i dati della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali.
Le previsioni contenute nell’art. 17 del Regolamento non si applicano quando l’interessato non può esercitare il diritto all’oblio per fatti che lo riguardano, se ricorrono determinate fattispecie:
- se il trattamento dei dati personali è effettuato per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;
- se il trattamento è effettuato per l’adempimento di un obbligo previsto dal diritto dell’Unione Europea o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento, o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento.
Il Garante della Privacy ha recentemente stabilito, rigettando il ricorso di un interessato che contestava la decisione di Google di non deindicizzare un articolo giornalistico contenente la notizia di una inchiesta giudiziaria che lo riguardava, che gli utenti non possono ottenere da un motore di ricerca la cancellazione dei risultati di ricerca di una notizia recente che li riguarda e che concerne un fatto di pubblico interesse: il diritto all’oblio, si ripete, deve essere bilanciato con il diritto alla cronaca. In questo caso, tuttavia, il Garante ha ravvisato come prevalente il diritto alla cronaca.
È necessario, però, considerare che oggi è diventato molto complesso l’esercizio del diritto all’oblio, in quanto le richieste di cancellazione o di aggiornamento debbono necessariamente fare i conti con i più disparati luoghi virtuali in cui tali informazioni sono racchiuse: sito, copia cache della pagina web, ecc.. Ogni luogo virtuale, per di più, ha un titolare del trattamento differente.
Oggi, inoltre, bisogna fare i conti con una nuova attività giornalistica, la quale ha la possibilità di raccogliere, incrociare, scambiare e archiviare dati personali in modalità dapprima inimmaginabili.
Ad ogni modo, qualora venga violato il diritto all’oblio di un interessato alla cancellazione di propri dati non più attuali e di pubblico interesse, l’art. 17 del nuovo regolamento UE prevede una sanzione pecuniaria fino a 20 milioni di euro o, per le imprese, fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente, se superiore.